Decima e fortunata

Roberto Beccantini21 maggio 2015

Dalla doppietta di Djordjevic alla doppietta della Juventus passano sì e no tre minuti. Siamo nella giungla dei supplementari, con i duellanti stremati. Matri aveva inaugurato la rimonta di Firenze. Inserito da Allegri al posto di Llorente, firma la decima Coppa Italia di Madama. Il mestiere di centravanti è ben strano. Djordjevic centra due pali con lo stesso tiro, Tevez si fa un mazzo così dal primo all’ultimo minuto, Matri tocca il pallone due volte: gol annullato per fuorigioco (di centimetri) e gol-svolta.

Lo so, ridurre una partita – e una finale, per giunta – a un episodio, massimo due, può sembrare persino capzioso, ma sono certo che tutti i miei lettori e tutti i miei pazienti sarebbero stati ancora più generosi. La Lazio aveva sorpreso i campioni in avvio, con un 3-4-3 aggressivo e «alto» che ingabbiava Pirlo e, più in generale, ingolfava le rampe di lancio. Il botta-e-risposta tra Radu e Chiellini aveva lasciato immaginare un’ordalia più fiammeggiante. Si coglieva, nelle gambe dei laziali e nella testa di Pioli, la volontà di non pensare al derby di lunedì. Certo, la Juventus è la Juventus: anche quando difende a tre fin dall’inzio, modulo che, sono sincero, non avrei riesumato. Se non alla fine, per blindare, come al Bernabeu, il risultato.

Siamo agli sgoccioli di una stagione massacrante, la Juventus è ancora in lizza per il Triplete che il 6 giugno contenderà al Barcellona. Ha dominato il campionato, mentre la Lazio è avanzata a strappi. Nei confronti diretti, la squadra di Allegri si era imposta per 3-0 all’Olimpico e 2-0 a Torino. Altra musica, le sfide secche. Sono «lotterie» che, spesso, avvicinano le distanze e piallano le differenze.

Scritto della Signora fortuna, fatemi parlare della Signora tout court, quella che non muore mai, quella che si rialza sempre.
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Dal Lucento a Berlino

Roberto Beccantini13 maggio 2015

Ora che persino il Bernabeu ha capito, la memoria corre a un pomeriggio del 25 luglio, quando la primissima Juventus di Allegri perse 3-2 con i dilettanti del Lucento e tutti noi, quorum ego, ci demmo di gomito. Sono passati nove mesi ed è «nata» la finale di Champions, addirittura. A Berlino, il 6 giugno, contro il Barcellona della triade Suarez-Messi-Neymar. Sarà l’ottava «bella» per entrambi. Sarà, soprattutto, la sfida tra due scuole, tra due stili, tra umani e marziani.

Ma adesso è il caso di tornare a Madrid, ai 35 gradi, a quell’1-1 che, firmato Cristiano Ronaldo e Morata, elimina i campioni in carica e bacia la squadra che in estate pedalava in mezzo al gruppo, un po’ come il Borussia Dortmund del 2013 e l’Atletico Madrid dell’anno scorso, classe operaia pronta per il paradiso.

Con l’alito dei sorteggi – che non sono colpe né meriti: sono – e con il lavoro di tutti, lavoro duro, serio, la Juventus ha rimontato le diffidenze e limato le differenze. Bravo, Allegri, a non fissarsi sul ristorante (da dieci o cento euro), ma a garantire comunque – attraverso il passaggio dal 3-5-2 al 4-3-1-2 e ritorno – pasti in linea con la cassa aziendale e le cucine europee.

Non è stato un miracolo. E’ stata un’impresa. Al Real casalingo – anche a questo, grigio come Cristiano Ronaldo – non puoi non regalare un rigore (Chiellini, maledizione) e almeno un paio di paratone ad altezza Buffon (sicuro, sempre). Già campione, sabato con il Cagliari la Juventus aveva risparmiato fior di titolari. Il Real non ha potuto. Si è spremuto con il Valencia, non ha «ucciso» la Signora, pagandone il fio. Niente Liga, niente Champions, niente Coppa nazionale: la spocchia di Perez impone scelte drastiche, sciocche, come la testa di Ancelotti, fino a dicembre spacciato per una sorta di mago di Oz.
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Bello poter dire: si vedrà

Roberto Beccantini5 maggio 2015

E’ una di quelle sere che ti prende l’euforia che fine a notte non ti lascia più. Se ho parafrasato Ornella Vanoni, un motivo c’è. Nell’andata delle semifinali di Champions League (ripeto: nell’andata delle semifinali di Champions League), la Juventus ha sconfitto per 2-1 il Real Madrid, campione in carica. Morata subito, poi Cristiano Ronaldo, poi la traversa di James Rodriguez, poi il rigore su e di Tevez (chiaro), poi catenaccio, poi l’occasione strozzata di Llorente.

Grande partita, molta italiana, non sempre bella ma sempre tesa, sempre sospesa. Allegri ha alternato schemi su schemi (4-3-1-2, 4-4-2 con Vidal vicino a Pirlo, 3-5-2) , e ha azzeccato a tal punto la mossa Sturaro che avrei sostituito Pirlo, non lui. Ancelotti, da parte sua, nel togliere riferimenti agli avversari, li ha tolti anche a Bale, falsissimo nueve. Fior di assenze: Pogba, Modric, Benzema. Il centravanti tornerà al Bernabeu, mercoledì. E, a naso, non sarà la stessa musica.

Nel frattempo, mi accontento di questa. La Juventus ha giocato più di squadra, il Real più sui singoli. Fiammeggiante l’inizio: velocità, pressing, precisione, profondità. Vidal e Marchisio ovunque e comunque: i migliori, da lì alla fine. Certo, il catechismo di Fusignano contempla l’occupazione militare della metà campo nemica, soste prossime allo zero, spallate su spallate. E’ così che si sarebbe dovuta comportare la Juventus? Magari. A tavolino, e in ufficio, da dove sto scribacchiando, le partite riescono perfette. In campo, un po’ meno.

Non  è più la Juventus martello di Conte, che però in Europa picchiava poco .  E’ una Juventus matura, paziente, consapevole dei propri limiti: e questa è una risorsa (Simeone dixit).

L’ordalia è girata attorno alla traversa di James Rodriguez, già Musa del pareggio.
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